Die parole su Alika, Diana e… la sinistra

Inizia domani agosto per cui oggi leggetevi questo ultimo post prima della pausa annunciata ieri.

L’omicidio di Alika Ogorchukwu a Civitanova Marche, per mano del 32enne Filippo Ferlazzo che si dichiara uh invalido civile al 100% e con gravi problemi di natura psichiatrica (ma francamente poco importa), è un fatto di inaudita gravità. Non solo per il fatto in sé, che è figlio del miscuglio di razzismo e di un vissuto complicato (di entrambi), ma anche per la totale indifferenza della “comunità”.

Una “comunità” che non interviene per placare la violenza insensata, ma che la filma magari per  postarla su qualche social e credere di essere sul pezzo, ovvero prevale l’esigenza patologica di virtualizzare la realtà, anche quando sulla stessa sì può imporre un epilogo meno drammatico.

Anche nel caso della piccola Diana Pifferi, trovata senza vita a seguito dell’abbandono della ragazza “madre” Alessia, la gravità è manifesta. Il coraggio di mettere al mondo una creatura, pur essendo da sola, si scontra con la fragilità psicologica presumibilmente acuita dalle restrizioni imposte a causa del COVID. La responsabilità della maternità, probabilmente anche mal vissuta, si scontra con la voglia di libertà dopo mesi di assurde chiusure.

Tali considerazioni non sono finalizzate per giustificare questa che sembra essere più una ragazza che una “madre” , ma per inquadrare meglio tutti i fattori della triste vicenda.

La sinistra come le tratta queste vicende? Quella del nigeriano (e mendicante) la strumentalizza, mentre quella della “madre” assassina la ignora! La lotta al razzismo è un mantra per la sinistra, ma la maternità è e resta qualcosa che rientra nella libertà dell’essere donna che per scelta e non per natura diventa madre.

Rifletterci sopra…

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